sabato 30 luglio 2016

Troppo pieno o troppo vuoto?

Un altro nodo dell'ERAS è la gestione dei liquidi intraoperatori.

Ma prima facciamo un passo indietro... in quali condizioni arriva il paziente in sala operatoria?

Se ha osservato il digiuno assoluto dalla mezzanotte e ha assunto una preparazione intestinale meccanica, è presupponibile che sia disidratato, quindi cosa si fa? Riempiamolo!

Il sovraccarico di liquidi porta a maggior pre-carico e post-carico cardiaco con conseguente affaticamento cardiovascolare e sovraccarico polmonare, ma non solo! La maggior parte dei fluidi infusi andranno ad accumularsi nel terzo spazio, imbibendo tessuti ed organi, tra cui l'intestino... e quindi? 
Il paziente presenterà un ritardo della ripresa della funzionalità intestinale, intolleranza all’assunzione dei liquidi per via orale, traslocazione batterica dall’interno all’esterno del lume intestinale, sepsi, edemi e difficoltà di movimento, riduzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti e stretching della ferita!

Tutto ciò influirà sul dolore post operatorio che, per essere gestito, necessiterà dell'utilizzo di oppioidi, che a loro volta comporteranno nausea e vomito e l'accentuazione dell'ileo funzionale post operatorio.

In queste condizioni il paziente non riuscirà ad alimentarsi, si attiveranno i processi catabolici, con conseguente perdita della forza muscolare e fatigue, andando così incontro ad una convalescenza sostanzialmente più lunga e ad un ritardo del ripristino delle normali funzioni.

Diversi studi hanno dimostrato che il sovraccarico di liquidi è dannoso e che tale pratica va abbandonata.

Uno studio danese randomizzato, condotto nel 2003 da Brandstrup B et al., ha dimostrato una riduzione delle complicanze adottando un regime restrittivo di infusioni.
Nel 2006 MacKay G et al., evidenziarono un vantaggio per il paziente nell'utilizzo della terapia infusionale restrittiva, con somministrazioni delle sole infusioni necessarie a mantenere l’omeostasi, associata alla minimizzazione delle perdite.
Secondo gli studi di Lobo DN et al., del 2002 e di Tambyraja AL et al., del 2004, è inoltre  da evitare un eccessivo introito di sodio, poiché ritarda il ripristino della motilità intestinale.

Infine, per evitare un sovraccarico di liquidi nel post operatorio, sarebbe consigliabile la sospensione della terapia infusionale già 2 ore dopo l’intervento (Lobo DN, 2009).  

Certo... in un mondo perfetto dove il paziente non viene purgato e beve fino a due ore prima dell'intervento (quindi arriva in sala operatoria ben idratato), tutto ciò potrebbe essere applicabile!

Questo cosa sta a significare? Che la gestione dei liquidi nell'intraoperatorio in fin dei conti dipende anche da noi e da come gestiamo il paziente nel preoperatorio... Non credete?

giovedì 28 luglio 2016

L'Utilità del catetere peridurale

L'argomento che tratteremo oggi è di competenza medica/anestesiologica; vorrei semplicemente illustrarvi il razionale che spinge il progetto ERAS a prediligere, quando possibile, l'analgesia/anestesia peridurale.

Un intervento chirurgico è sempre un evento stressante per l'organismo.

La risposta allo stress chirurgico avviene attraverso varie vie (neuroendocrina, immunitaria, metabolica), la più importante delle quali è la stimolazione afferente nervosa dell'ipofisi anteriore e dell'ipotalamo, che porta alla produzione e liberazione in circolo di catecolamine e glucocorticoidi (Wilmore DW, 2002).

La riduzione della risposta corporea allo stress chirurgico è  uno dei principi fondamentali dei protocolli ERAS. 

Già nel 2000 Roger et al. dimostrarono l’efficacia dell'anestesia/analgesia peridurale nella riduzione dello stress chirurgico con conseguente complessiva riduzione della mortalità e delle complicanze. 

Questo perché la tecnica peridurale consente di ridurre la concentrazione del farmaco per via sistemica con conseguente abbattimento degli effetti collaterali quali eccessiva sedazione post operatoria e PONV (Walker and Smith, 2009). 

Inoltre il livello di posizionamento del catetere consente un controllo ottimizzato del dolore nell'area chirurgica in questione (Moiniche, Kehlet, and Dahl, 2002). 

L’analgesia epidurale ha dimostrato di essere superiore all’analgesia per via endovenosa nel controllo del dolore post-operatorio e di ridurre l'ileo paralitico post-operatorio (Jorgensen H. et al., 2000) grazie al blocco selettivo delle fibre δ nocicettive. 

Detto ciò, sull'utilizzo del catetere peridurale io personalmente nutro i seguenti dubbi:

  1. quanto è sicuro per il paziente il catetere peridurale? 
  2. visto che l'inserzione del catetere peridurale è una manovra invasiva, per quali interventi ha senso utilizzarlo?
  3. potrebbe scoraggiare di contro la mobilizzazione essendo considerato come un ulteriore ingombro?
Lascio a voi le risposte alle mie domande...

mercoledì 27 luglio 2016

L'inutilità della preanestesia

Fino al 2012 (anno in cui abbiamo iniziato ad adottare il protocollo ERAS in Unità Operativa) negli ordini della farmacia era tassativo richiedere vagonate di benzodiazepine da somministrare ai pazienti prima di accompagnarli in sala operatoria.

Il razionale di questa pratica consiste nel fatto che la sedazione preoperatoria comporterebbe un aumento della soglia del dolore, una riduzione delle secrezioni bronchiali e salivari e un potenziamento dell'azione dei farmaci anestetici. 

Alcuni studi condotti (Caumo et al., 2002; Moiniche S. et al, 2002) non solo non confermano le suddette teorie, ma sfatano anche i benefici che questa pratica possa portare sulla gestione dell'ansia. 

Inoltre una revisione della Cochrane del 2009 (Walker K.J., Smith A.F.) ha dimostrato che la preanestesia comporta un prolungamento della fase di incoscienza post-operatoria, ostacolando la ripresa precoce dell'alimentazione e della mobilizzazione.

A pensarci bene... a proposito di "ottimizzazione delle risorse in Sanità": la preanestesia oltre ad essere inutile per il paziente era anche un costo per l'Ospedale... ora il numero di flaconi di bromazepam che si consumano è dieci volte inferiore!


martedì 26 luglio 2016

1000!!



Ringrazio tutti coloro che in questi sei giorni mi hanno letto, condiviso, sostenuto... raggiungere le mille visualizzazioni così presto è una grande soddisfazione. L'unica cosa è che speravo si aprisse un dibattito... cmq... visto che l'idea era quella della condivisione di conoscenze ed esperienze se qualcuno fosse interessato a postare... basta dirlo!!
Grazie ancora...
Maria Anna

No al sondino nasogastrico

In alcuni interventi chirurgici (fortunatamente non in tutti) è previsto il posizionamento del sondino nasogastrico: il razionale sarebbe che a seguito dell'anestesia generale il paziente presenta un ileo funzionale post-operatorio, quindi il sondino servirebbe a prevenire la distensione gastrica e il vomito. 

Inoltre negli interventi di chirurgia colica servirebbe a proteggere l'anastomosi riducendo il rischio di deiscenze.

A pensarci il ragionamento fila... quindi, nonostante la maggiore incidenza di febbre, atelettasia, pneumopatia, vomito, reflusso gastroesofageo legata all'utilizzo del SNG (Cheatham M.L. et al., 1995) è giusto mantenerlo fino alla ripresa della canalizzazione intestinale... e invece no!

Infatti una metanalisi Cochrane (Nelson R. et al) già nel 2007 ha stabilito che in assenza di decompressione nasogastrica si ha un ripristino precoce della motilità intestinale e che la sua assenza non è collegabile ad un aumento delle deiscenze anastomotiche.

Detto ciò mi chiedo... allora perchè infliggere "preventivamente" al paziente il sondino?

lunedì 25 luglio 2016

Dar da bere agli assetati!

Quanto dura da voi una seduta operatoria?

Nella mia realtà lavorativa le sale aprono alle 8 e terminano alle 21.

Prima dell'adozione del protocollo ERAS il paziente in lista operatoria si alimentava con un brodo la sera precedente l'intervento (la cena viene dispensata alle 18!) e osservava il digiuno dalla mezzanotte.

I più sfortunati, programmati per il pomeriggio, organizzavano dei sit-in davanti al posto infermieri fino alla tanto attesa chiamata della sala operatoria.

Pensare che già nel 1883 Lister raccomandava il digiuno dai cibi solidi a 6 ore dall'intervento e dai liquidi a 2 ore... e poi?
Un esperimento condotto nel 1974 da Roberts e Shirley, su una scimmia a cui furono instillati 0.4ml/Kg di acido nel ramo bronchiale destro, ha portato ad aspirazione polmonare.

In seguito nel 1999 l'American Society of Anesthesiology ha stabilito che i tempi di digiuno previsti da Lister erano sufficienti a permettere lo svuotamento gastrico e a prevenire la polmonite ab ingestis.

Studi controllati randomizzati (Nygren J. et al., 2001; Noblett SE. et al., 2006) hanno inoltre dimostrato che un carico glucidico di 800 ml prima della mezzanotte e di 400 ml due ore prima dell'intervento riduce il senso di fame e di sete, diminuisce l'ansia (Nygren J., 1995) e il fenomeno dell'insulino-resistenza post operatoria (Hausel J. et al., 2001; Nygren J., 2006).

Quindi ora che si fa?

Il paziente cena liberamente la sera prima dell'intervento, può spiluccare fino alla mezzanotte se ne ha voglia e bere fino a due ore prima dell'intervento.

In teoria, se l'intervento è programmato per il pomeriggio potrebbe anche fare una colazione leggera al mattino... ma si sa come vanno le cose... i programmi operatori potrebbero subire delle variazioni e quindi purtroppo soprassediamo sull'ultimo punto.

Certo, potremmo fare meglio, ma ritengo che già così sia un bel passo avanti!

domenica 24 luglio 2016

L'inutilità della preparazione intestinale

Perchè purghiamo il paziente prima dell'intervento?

L'unico motivo plausibile è che a seguito dell'induzione all'anestesia si possa avere un rilascio degli sfinteri... 
...ma questo spiacevole inconveniente è sufficiente a giustificare il fargli bere litri di acqua e fosfato di sodio o macrogol? Oppure a legittimare i tanto temuti clisteri evacuativi?

Una revisione sistematica del 2011 della Cochrane (Güenaga K.F., Matos D., Wille-Jørgensen P.) sull'utilità della preparazione intestinale nella chirurgia colorettale, stabilisce che non ci sono prove statisticamente significative riguardo al beneficio che questa procedura comporterebbe, concludendo che questa pratica può essere omessa, poiché non diminuisce il rischio di complicanze quali deiescenze anastomotiche o infezioni del sito chirurgico. 

Se ritenete che questo non sia sufficiente, basti pensare al fatto che nel periodo preoperatorio il paziente subisce un calo ponderale di circa 4 Kg, di cui 1,2 adducibili alla preparazione intestinale!

L'esecuzione della preparazione intestinale meccanica è stata associata a disidratazione (con conseguenti ipotensione e tachicardia che con l'anestesia generale possono portare ad un aumento del rischio di problematiche cardiovascolari intraoperatorie), perdita di elettroliti, maggiori complicanze settiche, prolungato ricovero, ritardata ripresa della canalizzazione, maggiore stress (Holte K. et al., 2004)

Ora mi chiedo... se per la chirurgia colorettale tutto questo è vero... non dovrebbe essere a maggior ragione inutile nelle altre chirurgie?

sabato 23 luglio 2016

Il Patient Learning Materials: come produrre materiale informativo scritto di qualità

Il progetto ERAS prevede che il counselling venga svolto seguendo un approccio multimodale: questo è possibile associando al colloquio operatore/paziente l'utilizzo del Patient Learning Materials.

Diversi studi condotti (Kessels, 2003; Demir et al., 2008) hanno dimostrato come circa il 40-80% delle informazioni fornite oralmente vengano dimenticate, mentre quasi la metà viene ricordata in modo non corretto. 
Ciò può avere diverse cause: la condizione di stress in cui il soggetto candidato ad intervento si trova, ad esempio, può portare una difficoltà maggiore sia nella reale comprensione del messaggio, sia nella ritenzione dell'informazione.
Di contro, quando l'educazione è supportata da materiale scritto si è evidenziata una riduzione dell'ansia, dell'uso di analgesici e della durata del ricovero.

Ma come produrre materiale informativo di qualità?

La McGill University Health Center a tal proposito ha stilato una lista di criteri da seguire affinché il materiale prodotto possa ritenersi efficace. 
I materiali informativi sono: 
  1. sviluppati a partire dai bisogni informativi dei pazienti e dei familiari interessati e dalle priorità evidenziate dai professionisti della salute;
  2. evidence-informed, scritti in modo comprensibile ed aggiornati rispetto agli standard correnti della letteratura sanitaria;
  3. costruiti per facilitare l'apprendimento dei pazienti e dei familiari;
  4. valutati dai pazienti/familiari e dai professionisti della salute prima dell'approvazione finale e della loro pubblicazione;
  5. sottoposti ad una commissione di esperti clinici e metodologici per l'approvazione finale;
  6. revisionati a scadenza regolare quinquennale dal Dipartimento/Gruppo di lavoro che li ha prodotti e ogni qualvolta si registri un cambiamento significativo nella pratica o nella letteratura di riferimento.


Studi sul materiale informativo scritto (Smith et al., 2014; Chen, 2013; Murphy et al., 2011; Badarudeen, Sabharwal, 2010; CMS, 2010; Demir et al., 2008) hanno stabilito che:

- l'obiettivo da raggiungere deve essere esplicitamente dichiarato;
- le informazioni devono essere semplici, sintetiche e comprensibili;
- l'interiorizzazione dei contenuti è fortemente influenzata dall'età e dal livello culturale del paziente;
- il grado di leggibilità del materiale deve essere pari o inferiore al sesto;
- il numero di pagine deve essere ridotto (non più di 20) e i capitoli non più di quattro.

Insomma non è un lavoro semplice!!! Ma d'altra parte anche fare l'infermiere non lo è, non credete?




venerdì 22 luglio 2016

Il Counselling Pre Operatorio

Il primo punto del progetto ERAS è il counselling preoperatorio, e a mio parere anche il punto più importante.
Sin dal 1998 l'Organizzazione Mondiale della Sanità riconosceva l'importanza dell'Educazione terapeutica perché: "permette al paziente di acquisire e mantenere le capacità e le competenze che lo aiutano a vivere in maniera ottimale con la sua malattia...si tratta di un processo continuo, integrato nell'assistenza sanitaria incentrato sul paziente... il suo scopo è di aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la natura della malattia e dei trattamenti, a collaborare attivamente alla realizzazione del percorso terapeutico e a prendersi cura del proprio stato di salute, per mantenere e migliorare la propria qualità di vita" (W.H.O., Working Group, 1998).

Diversi studi hanno evidenziato i benefici dell'educazione terapeutica nei pazienti affetti da patologie croniche quali: l'aumento delle conoscenze in merito agli stili di vita più sani, il miglioramento della compliance terapeutica, il miglioramento del livello del dolore, nei pazienti diabetici profili glicemici più stabili (Dawes M.G. et al, 2010; King A.B. et al, 2007; Undermann B.E. et al, 2004).

Anche nei pazienti candidati ad intervento chirurgico  sono stati evidenziati dei vantaggi collegati all'educazione terapeutica, come: il favorire la partecipazione e il ruolo attivo del paziente nel perioperatorio, la percezione da parte del paziente di essere partecipe delle decisioni di cura a cui consegue una maggiore motivazione a seguire il percorso terapeutico (Angioli R. et al, 2014; Jlala H.A. et al, 2010; Yilmaz M. et al, 2012).
Di contro nel paziente candidato ad intervento chirurgico si riscontrano dei limiti dettati dall'ottimizzazione dei tempi di ricovero e quindi dalla riduzione delle degenze che porta, come conseguenza, ad avere sempre meno tempo a disposizione per l'educazione, e spesso anche a dimissioni precoci in pazienti che richiedono maggiore assistenza domiciliare.
Per ovviare ai limiti sopra descritti si è pensato di introdurre l'educazione preoperatoria.

Il Counselling preoperatorio ha la finalità di migliorare il decorso, ridurre i tempi di recupero, facilitare l'instaurarsi della relazione di aiuto. 
L'incontro deve essere un momento strutturato in cui il professionista, valutate le risorse dell'assistito, pianificherà il piano di educazione terapeutica. 
Per essere efficace il counselling deve essere programmato dalle due alle quattro settimane prima dell'intervento chirurgico, poiché in tempi sufficientemente lontani dall'evento il paziente è più ricettivo ed inoltre ha davanti a sé più occasioni per rafforzare l'apprendimento.
Durante l'incontro è bene utilizzare un approccio multimodale, associando al classico colloquio l'utilizzo del Patient Learning Materials (materiale informativo/didattico, raccomandato dalla letteratura, che può assumere diverse forme: carteceo, CD didattico, programma web-based, video).

Nella nostra realtà lavorativa siamo riusciti a trovare uno spazio per il counselling durante il prericovero, in questa occasione il paziente oltre ad eseguire gli esami ematici e strumentali e ad essere valutato dall'anestesista e dal chirurgo, incontra anche l'infermiere... Il tutto è nato per esigenze organizzative legate al fatto che il paziente va in sala operatoria il giorno del ricovero e così facendo i tempi operatori sono ottimizzati al meglio... noi comunque l'abbiamo sfruttato a nostro vantaggio e soprattutto del paziente... si fa quel che si può!


giovedì 21 luglio 2016

Enhanced Recovery After Surgery

Dal 2011 l'Unità Operativa in cui lavoro (Urologia) ha deciso di adottare il protocollo ERAS.
L'Enhanced Recovery After Surgery nasce per la chirurgia colorettale ad opera del professor Kehlet ed è stata in seguito esportata alle altre chirurgie.
L'ERAS consiste in un approccio multimodale e multiprofessionale che rivede la pratica clinica ed assistenziale in diversi momenti del percorso pre- intra- e post-operatorio; il suo fine è quello di ridurre lo stress metabolico legato all'intervento chirurgico facendo in modo che il paziente possa ritornare al più presto alle proprie abitudini di vita.
I punti clinico/assistenziali presi in esame sono schematizzati nel grafico seguente:



E adesso???

L'idea è quella di condividere con altri infermieri come me conoscenze, dubbi, discussioni, ricerche ed evidenze...
... però prima di tutto mi presento:
mi chiamo Maria Anna Risolo e sono un'infermiera dal lontano dicembre 2004. Durante il mio percorso universitario mi è stato detto per tre anni che la nostra era una professione in crescita, che le cose stavano cambiando, ma ahimè ad oggi ancora non ravviso nulla di tutto ciò.
Le problematiche e le frustrazioni della nostra professione sono note a tutti coloro che la esercitano (mancanza di un adeguato riconoscimento della professione sia da un punto di vista sociale che economico, scarse possibilità di crescita in ambito clinico/assistenziale nonostante l'attivazione di numerosi percorsi di studi post formazione di base, mancato riconoscimento dei carichi di lavoro e conseguente usura della propria qualità di vita, etc..) ed è per questo che non è mia intenzione occuparmi di questi temi: ciò che ho capito nel corso di questi anni è che il cambiamento e la crescita avvengono in ognuno di noi!
L'altra cosa che ho capito in questi anni è che l'infermieristica è un'area troppo vasta per presumere di conoscere tutto lo scibile, inoltre è in continua evoluzione e quindi la maggior parte delle certezze che avevo nel 2004 ora sono messe in discussione, quindi l'idea è questa: aiutiamoci ad essere sempre sul pezzo! Che ne dite?
Nei prossimi post condividerò con voi le mie conoscenze, premetto che non ho la pretesa di essere un guru dell'infermieristica quindi vi esorto a discutere con me sui temi trattati in modo da migliorarci.
Ringrazio anticipatamente chiunque abbia voglia di partecipare alla mia crescita professionale e a presto!
Maria Anna