martedì 9 agosto 2016

La ripresa dell'alimentazione nel post operatorio

Nella mia realtà lavorativa uno dei temi su cui c'è più confusione, nella gestione del paziente sottoposto ad intervento chirurgico, è la ripresa dell'alimentazione per via orale.

Fino a qualche anno fa, se sottoposti ad anestesia generale, i nostri pazienti osservavano il digiuno il giorno dell'intervento, si alimentavano con una dieta liquida in prima giornata, pastina e frutta cotta in seconda, dieta leggera in terza e riprendevano una dieta libera dalla quarta giornata post operatoria... sempre se non avevano il SNG... altrimenti i tempi di ripresa dell'alimentazione si dilatavano fino alla ripresa della canalizzazione!

Ma vediamo cosa avviene nel post operatorio e perché è importante la ripresa dell'alimentazione precoce.

Lo stress chirurgico a cui il paziente viene sottoposto a causa dell'intervento porta ad un rilascio di glucagone, catecolamine, cortisolo e mediatori infiammatori, con conseguente aumento della glicemia, insulino resistenza e bilancio azotato negativo; in tali condizioni si può andare incontro a processi catabolici con depauperamento del patrimonio muscolare, stanchezza, aumentata intolleranza al movimento, alterazione dei processi di guarigione della ferita chirurgica, deficit immunitario con maggiore probabilità di infezioni.

Se alla sindrome da stress chirurgico si associa uno stato di malnutrizione precedente all'intervento (condizione frequente nei pazienti tumorali), le complicanze a cui il paziente potrà andare incontro possono risultare addirittura fatali! 

Sin dal 1936 Studley dimostrò che una perdita di peso del 20% era correlabile ad un aumento significativo del tasso di mortalità nei pazienti sottoposti a chirurgia per ulcera duodenale.

Uno studio condotto da Jabbar et al. nel 2003, correla inoltre il digiuno post operatorio ad un significativo aumento degli episodi di sepsi.

L'ipotesi che la prevenzione o il trattamento della malnutrizione migliori l'esito clinico di un paziente chirurgico e che in particolare riduca le complicanze infettive, è ormai un'evidenza che trova nella fisiopatologia della sindrome da stress chirurgico il suo razionale.

Si è visto inoltre che la ripresa precoce dell'alimentazione per via orale supporta l'integrità dei villi intestinali, la secrezione di IgA e dei sali biliari (contrastando la trasmigrazione batterica), stimola la produzione di muco e favorisce la contrattilità dell'intestino.

Infine è lecito sostenere che vi sia una ripresa della funzionalità dell'intestino a sei ore dall'anestesia anche in assenza di peristalsi intestinale.

Si consideri che per la chirurgia colica (Varadhan et al., 2010), dove c'è quindi un interessamento dell'intestino nella tecnica chirurgica, la ripresa dell'alimentazione con una dieta leggera dalla sera dell'intervento, coadiuvata da un apporto calorico supplementare (drink energetici somministrati 2-3 volte al giorno) fino alla ripresa della dieta libera è fortemente raccomandata (grado di evidenza A).

I protocolli ERAS prevedono di norma una ripresa dell'idratazione per via orale alla comparsa dello stimolo della deglutizione (in assenza di PONV), un primo carico glucidico a due ore dal risveglio, da ripetere a quattro ore e una cena leggera la sera dell'intervento.

Concludendo... previa valutazione della PONV... per cortesia facciamo mangiare i pazienti!





lunedì 8 agosto 2016

Come stimolare la motilità intestinale?

L'ileo post-operatorio è un problema che nella chirurgia colica si presenta circa nel 30% dei casi, ma è una complicanza da non sottovalutare anche nelle altre chirurgie!

Luckey et al., nel 2003 stabilirono la multifattorialità della causa dell'ileo post-operatorio: l'utilizzo di oppioidi, il sovraccarico di liquidi nell'intra e post-operatorio, la manipolazione con conseguente infiammazione dell'intestino durante la tecnica chirurgica.

Ne consegue che anche la prevenzione si baserà su un approccio multimodale.

Una revisione sistematica della Cochrane del 2016 (Guay, Nishimori, Kopp) stabilisce che l'utilizzo dell'analgesia tramite cateterino peridurale di anestetico locale nella chirurgia addominale, non solo migliora il controllo del dolore post operatorio, ma favorisce anche la ripresa della funzionalità intestinale, con la comparsa di flatus, in alcuni casi, il giorno stesso dell'intervento.

Come già detto nel post "Troppo pieno o troppo vuoto?" un eccesso di fluidi intraoperatori porta ad un accumulo di liquidi nel terzo spazio, con imbibizione delle pareti intestinali e traslocazione batterica.

Una revisione sistematica del 2015 (Watt et al.) sostiene che la chirurgia laparoscopica riduce lo stress chirurgico: i valori di PCR (proteina c reattiva) e di IL-6 (interleuchina-6) nel post-operatorio sono minori nei soggetti sottoposti a laparoscopia rispetto ai valori riscontrati nei soggetti sottoposti a laparotomia.

Una revisione del 2013 (Keller, Stein), che mette a confronto l'utilità dell'alvimopan (farmaco utilizzato negli Stati Uniti per facilitare la ripresa della motilità intestinale) e quella del chewingum, conclude che la gomma da masticare, assunta sin da prima dell'intervento ed in seguito nel postoperatorio, promuove il fisiologico svuotamento gastrico e la motilità gastrointestinale e, considerando il rapporto costo/beneficio, ne raccomanda l'uso!

Sin dal 2003, Miedema e Johnson affermano che l'uso di ossido di magnesio (1g due volte al giorno dalla sera dell'intervento fino alla dimissione) per via orale agisce come lassativo osmotico, favorendo la motilità intestinale.

Infine nel post precedente, "Quando mobilizzare il paziente dopo l'intervento chirurgico?", abbiamo annoverato tra i benefici della mobilizzazione precoce anche la ripresa della motilità intestinale...

Concludendo: la prevenzione dell'ileo paralitico si ottiene mediante un approccio multimodale che passa dalla gestione anestesiologica nell'intra e nel post operatorio, alla tecnica chirurgica, alla gestione infermieristica del paziente nel post operatorio... e allora... buon lavoro a tutti!


domenica 7 agosto 2016

Quando mobilizzare il paziente dopo l'intervento chirurgico?

Un altro aspetto di competenza infermieristica del protocollo ERAS è la mobilizzazione precoce del paziente nell'immediato post operatorio. 

Ma con l'intolleranza ortostatica come la mettiamo?

Non starò ad enfatizzare le disastrose conseguenze che comporta l'immobilizzazione prolungata, chi di voi non ha mai sentito dire "il letto alletta"

Kehlet nel 2002 sottolinea che l’allettamento non solo favorisce l’insulino-resistenza e il catabolismo muscolare con conseguente diminuzione della forza, ma influisce negativamente anche sulla funzione polmonare e sull’ossigenazione dei tessuti, oltre ad aumentare il rischio di tromboembolismo. 

La prima mobilizzazione il giorno stesso dell'intervento ha come obiettivo proprio quello di evitare le problematiche legate all'immobilizzazione, oltre il favorire la canalizzazione e l'autonomia del paziente nel più breve tempo possibile. Il protocollo prevede che il paziente rimanga fuori dal letto per almeno due ore il giorno dell'intervento, che diventano sei in prima giornata.

D'altro canto in sanità si parla fino alla nausea di prevenzione del rischio di cadute, di patient safety... dopo aver informato il paziente sui rischi legati all'anestesia come possiamo pensare di tirarlo giù dal letto così presto?

Sull'intolleranza ortostatica ci sono studi contraddittori, in alcuni si evidenzia un aumento del rischio mobilizzando il paziente a 6 ore dall'intervento rispetto alla prima mobilizzazione effettuata a 24 ore dall'intervento! (Jans et al., 2011; Bundgaard-Nielsen et al., 2009).

Di contro, Morris et al., nel 2010, hanno pubblicato una linea guida di pratica clinica riguardante la mobilizzazione precoce nel paziente ortopedico sottoposto ad intervento chirurgico, dove affermano che la mobilizzazione a 6 ore dall'intervento non comporta un aumento delle conseguenze avverse per il paziente rispetto alla mobilizzazione a 16,8 ore praticata in precedenza.

Personalmente penso che, come sempre nella pratica infermieristica, è di fondamentale importanza la valutazione del paziente, la sua anamnesi remota e prossima, l'individuazione dell'eventuale rischio, la valutazione dei parametri vitali, la compliance del paziente alla manovra (che risulta maggiore se istruito precedentemente sui benefici che la mobilizzazione precoce comporta), insomma la personalizzazione delle cure nonostante l'utilizzo di protocolli standardizzati.

Per ciò che concerne la mobilizzazione precoce presumo invece che la problematica sia altra...
... nella mia realtà lavorativa durante il turno pomeridiano vi è un minor numero di operatori sanitari, oberati di lavoro, e spesso non si hanno le risorse per poter mobilizzare precocemente i pazienti in sicurezza... 
...ma questa è un'altra storia e mi ero ripromessa di non permettere alla frustrazione di contaminare la voglia di cambiamento e di crescita!


sabato 6 agosto 2016

Post Operative Nausea and Vomiting (PONV): come prevenirla?

Sin dal 1840, anno in cui è stata introdotta l'anestesia generale, si riconobbero la nausea e il vomito post operatori come effetti collaterali comuni legati alla pratica anestesiologica (McGill, 1873).

Nel 2010 Franck et al., stabilirono che circa il 30% dei pazienti sottoposti ad anestesia presentano PONV, questa percentuale arriva all'80% in quei soggetti, non sottoposti a profilassi, che presentano fattori di rischio quali: giovane età, sesso femminile, non fumatori, con precedente storia di cinetosi (Apfel et al., 1999).

Nonostante la PONV comporti raramente complicanze gravi per la salute del paziente, l'impatto sulla qualità di vita e sul costo delle cure sanitarie sono tali da attirare l'attenzione di diversi studiosi.

I pazienti infatti riferiscono che la nausea e il vomito post operatori sono tra i sintomi più angoscianti e che sarebbero disposti a pagare piuttosto che soffrirne (Gan et al., 2001; Kerger et al., 2007; Wagner et al., 2007).
Infine non è da trascurare il fatto che la sintomatologia, se protratta nel tempo, può portare ad uno stato di disidratazione, ad alterazioni idroelettrolitiche e ad un ritardo nella ripresa dell’alimentazione. 


La ricerca clinica dimostra che la PONV è causata soprattuto dall'utilizzo dell'anestesia inalatoria e di analgesici oppiacei (Apfel et al., 2012; Binning et al., 2011).
Canzone et al. in uno studio del 1998 suggerivano l'utilizzo del propofol e.v. al posto degli anestetici inalatori, poiché sembrava avere proprietà antiemetiche.
Sembra inoltre che ci sia un rischio aumentato di PONV negli interventi in cui vi è maggiore trauma tissutale e infiammazione.

Detto ciò, come prevenire la nausea e il vomito post operatori?

Mentre Goll nel 2001 osservò come la somministrazione di ossigeno all'80% per due ore sia più efficace dell'ondasetron nel ridurre la PONV, Apfel et al., nel 2004 stabilirono che, sebbene i singoli farmaci antiemetici abbiano efficacia simile nel contrastare il sintomo, la combinazione di più sostanze porta ad un effetto additivo, riducendo sensibilmente il rischio relativo (del 25% per ogni farmaco combinato).

Concludendo, è consigliabile un approccio multimodale al problema, che comprenda una valutazione del rischio del singolo paziente e la somministrazione di farmaci antiemetici combinati come profilassi. 
E' raccomandato l'utilizzo dell'anestesia endovenosa con farmaci a breve emivita al posto dell'anestesia inalatoria, la somministrazione di ossigeno ad alti flussi nell'immediato post operatorio e una terapia del dolore che non comprenda farmaci oppiacei o favorenti emesi.

Ed ora un ultimo dubbio...

...prima di informarmi su questo argomento, nel somministrare le terapie ai pazienti, in prima giornata post operatoria vedevo spesso la prescrizione di antiemetici anche in pazienti che non avevano assolutamente manifestato il sintomo e mi chiedevo se non fosse un farmaco inutile...

... onestamente ancora oggi non so darmi una risposta, qualcuno di voi può chiarirmi le idee in proposito?

martedì 2 agosto 2016

"Il più valido sistema per raffreddare un uomo è sottoporlo ad anestesia" (R.W. Pickering)

Dopo qualche giorno di pausa rieccoci...
Il titolo del post di oggi è una citazione che mi ha colpito al convegno AIURO del 2014... quindi ringrazio la relatrice del congresso, Paola Striglia, per avermela fatta conoscere...

Quante volte in reparto al rientro dalla sala operatoria il paziente trema e ha freddo? 
Non ci sono coperte sufficienti a scaldarlo.

Per noi addetti ai lavori è una cosa abbastanza comune... certo... la sala operatoria è fredda... i brividi passeranno... ma spesso si trascura tutto ciò che è collegato a questo fenomeno.

L’ipotermia perioperatoria accidentale avviene in una grande percentuale di interventi e dipende da diversi fattori, quali: l'abbigliamento o meglio la sua mancanza nell'intraoperatorio, la temperatura ambientale della sala operatoria, i processi di vasodilatazione a seguito della preanestesia, l'assenza dei movimenti muscolari e il rallentamento del metabolismo dovuti all'anestesia, l'utilizzo di antisettici per la disinfezione della cute, l'esposizione di ampie cavità corporee per la durata dell'intervento, l'irrigazione con liquidi freddi, l'infusione di liquidi freddi (Rigon e Thiene, 2003).

In condizioni normali la temperatura corporea si attesta tra i 36,5°C e i 37°C, ma in seguito ad anestesia è molto comune che questa possa abbassarsi di almeno 2°C, fino ad una perdita di 6°C.

Mediamente durante l’intervento il paziente va incontro ad una diminuzione della temperatura di circa 3°C (Vaughan et al., 1981), di cui 1-1,5°C nella prima ora e i successivi più lentamente.

La fase iniziale dell’ipotermia è dovuta agli effetti dei farmaci anestetici, che portano all’attivazione della vasodilatazione periferica, con una ridistribuzione del calore dagli organi interni alla cute. 
In seguito all’induzione dell’anestesia un ulteriore calo della temperatura corporea è dovuto al ridotto metabolismo, all’assenza dei movimenti muscolari, alla minore attività dei muscoli respiratori, e alla dispersione del calore per irraggiamento e convezione attraverso la pelle e il sito chirurgico (Matsukawa et al., 1995).

Alcuni studi (England et al., 1996; Beaufort et al., 1995; Heier et al., 1991; Coldwell et al., 2000) hanno evidenziato che l’ipotermia prolunga l’azione della maggioranza dei farmaci anestetici, probabilmente per il ridotto metabolismo epatico e renale.

È stato visto che nei soggetti anziani con patologie cardiache, l’ipotermia comporta un rischio tre volte superiore di andare incontro ad eventi coronarici, questo perché terminata l’anestesia vi è in circolo una maggiore quantità di noradrenalina che associata allo sblocco del centro della termoregolazione porta a vasocostrizione e picchi ipertensivi, con il rischio di sviluppare una tachiaritmia ventricolare (Frank et al., 1995).


L’ipotermia, attraverso la vasocostrizione, l’alterata funzionalità piastrinica  e la compromissione del sistema immunitario, porta ad un rischio aumentato di infezione del sito chirurgico (Kurz et al., 1996).

Quindi, ricapitolando, da almeno vent'anni si è a conoscenza degli effetti negativi dell'ipotermia accidentale perioperatoria, e allora che si fa?

Riscaldiamo il paziente!
Ci sono diverse strategie utilizzabili, dall'infusione di liquidi endovena a temperatura controllata, all'utilizzo di mezzi per il riscaldamento attivo: termocoperta, warm touch, materassino ad acqua...
... a voi la scelta!

sabato 30 luglio 2016

Troppo pieno o troppo vuoto?

Un altro nodo dell'ERAS è la gestione dei liquidi intraoperatori.

Ma prima facciamo un passo indietro... in quali condizioni arriva il paziente in sala operatoria?

Se ha osservato il digiuno assoluto dalla mezzanotte e ha assunto una preparazione intestinale meccanica, è presupponibile che sia disidratato, quindi cosa si fa? Riempiamolo!

Il sovraccarico di liquidi porta a maggior pre-carico e post-carico cardiaco con conseguente affaticamento cardiovascolare e sovraccarico polmonare, ma non solo! La maggior parte dei fluidi infusi andranno ad accumularsi nel terzo spazio, imbibendo tessuti ed organi, tra cui l'intestino... e quindi? 
Il paziente presenterà un ritardo della ripresa della funzionalità intestinale, intolleranza all’assunzione dei liquidi per via orale, traslocazione batterica dall’interno all’esterno del lume intestinale, sepsi, edemi e difficoltà di movimento, riduzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti e stretching della ferita!

Tutto ciò influirà sul dolore post operatorio che, per essere gestito, necessiterà dell'utilizzo di oppioidi, che a loro volta comporteranno nausea e vomito e l'accentuazione dell'ileo funzionale post operatorio.

In queste condizioni il paziente non riuscirà ad alimentarsi, si attiveranno i processi catabolici, con conseguente perdita della forza muscolare e fatigue, andando così incontro ad una convalescenza sostanzialmente più lunga e ad un ritardo del ripristino delle normali funzioni.

Diversi studi hanno dimostrato che il sovraccarico di liquidi è dannoso e che tale pratica va abbandonata.

Uno studio danese randomizzato, condotto nel 2003 da Brandstrup B et al., ha dimostrato una riduzione delle complicanze adottando un regime restrittivo di infusioni.
Nel 2006 MacKay G et al., evidenziarono un vantaggio per il paziente nell'utilizzo della terapia infusionale restrittiva, con somministrazioni delle sole infusioni necessarie a mantenere l’omeostasi, associata alla minimizzazione delle perdite.
Secondo gli studi di Lobo DN et al., del 2002 e di Tambyraja AL et al., del 2004, è inoltre  da evitare un eccessivo introito di sodio, poiché ritarda il ripristino della motilità intestinale.

Infine, per evitare un sovraccarico di liquidi nel post operatorio, sarebbe consigliabile la sospensione della terapia infusionale già 2 ore dopo l’intervento (Lobo DN, 2009).  

Certo... in un mondo perfetto dove il paziente non viene purgato e beve fino a due ore prima dell'intervento (quindi arriva in sala operatoria ben idratato), tutto ciò potrebbe essere applicabile!

Questo cosa sta a significare? Che la gestione dei liquidi nell'intraoperatorio in fin dei conti dipende anche da noi e da come gestiamo il paziente nel preoperatorio... Non credete?

giovedì 28 luglio 2016

L'Utilità del catetere peridurale

L'argomento che tratteremo oggi è di competenza medica/anestesiologica; vorrei semplicemente illustrarvi il razionale che spinge il progetto ERAS a prediligere, quando possibile, l'analgesia/anestesia peridurale.

Un intervento chirurgico è sempre un evento stressante per l'organismo.

La risposta allo stress chirurgico avviene attraverso varie vie (neuroendocrina, immunitaria, metabolica), la più importante delle quali è la stimolazione afferente nervosa dell'ipofisi anteriore e dell'ipotalamo, che porta alla produzione e liberazione in circolo di catecolamine e glucocorticoidi (Wilmore DW, 2002).

La riduzione della risposta corporea allo stress chirurgico è  uno dei principi fondamentali dei protocolli ERAS. 

Già nel 2000 Roger et al. dimostrarono l’efficacia dell'anestesia/analgesia peridurale nella riduzione dello stress chirurgico con conseguente complessiva riduzione della mortalità e delle complicanze. 

Questo perché la tecnica peridurale consente di ridurre la concentrazione del farmaco per via sistemica con conseguente abbattimento degli effetti collaterali quali eccessiva sedazione post operatoria e PONV (Walker and Smith, 2009). 

Inoltre il livello di posizionamento del catetere consente un controllo ottimizzato del dolore nell'area chirurgica in questione (Moiniche, Kehlet, and Dahl, 2002). 

L’analgesia epidurale ha dimostrato di essere superiore all’analgesia per via endovenosa nel controllo del dolore post-operatorio e di ridurre l'ileo paralitico post-operatorio (Jorgensen H. et al., 2000) grazie al blocco selettivo delle fibre δ nocicettive. 

Detto ciò, sull'utilizzo del catetere peridurale io personalmente nutro i seguenti dubbi:

  1. quanto è sicuro per il paziente il catetere peridurale? 
  2. visto che l'inserzione del catetere peridurale è una manovra invasiva, per quali interventi ha senso utilizzarlo?
  3. potrebbe scoraggiare di contro la mobilizzazione essendo considerato come un ulteriore ingombro?
Lascio a voi le risposte alle mie domande...