martedì 2 agosto 2016

"Il più valido sistema per raffreddare un uomo è sottoporlo ad anestesia" (R.W. Pickering)

Dopo qualche giorno di pausa rieccoci...
Il titolo del post di oggi è una citazione che mi ha colpito al convegno AIURO del 2014... quindi ringrazio la relatrice del congresso, Paola Striglia, per avermela fatta conoscere...

Quante volte in reparto al rientro dalla sala operatoria il paziente trema e ha freddo? 
Non ci sono coperte sufficienti a scaldarlo.

Per noi addetti ai lavori è una cosa abbastanza comune... certo... la sala operatoria è fredda... i brividi passeranno... ma spesso si trascura tutto ciò che è collegato a questo fenomeno.

L’ipotermia perioperatoria accidentale avviene in una grande percentuale di interventi e dipende da diversi fattori, quali: l'abbigliamento o meglio la sua mancanza nell'intraoperatorio, la temperatura ambientale della sala operatoria, i processi di vasodilatazione a seguito della preanestesia, l'assenza dei movimenti muscolari e il rallentamento del metabolismo dovuti all'anestesia, l'utilizzo di antisettici per la disinfezione della cute, l'esposizione di ampie cavità corporee per la durata dell'intervento, l'irrigazione con liquidi freddi, l'infusione di liquidi freddi (Rigon e Thiene, 2003).

In condizioni normali la temperatura corporea si attesta tra i 36,5°C e i 37°C, ma in seguito ad anestesia è molto comune che questa possa abbassarsi di almeno 2°C, fino ad una perdita di 6°C.

Mediamente durante l’intervento il paziente va incontro ad una diminuzione della temperatura di circa 3°C (Vaughan et al., 1981), di cui 1-1,5°C nella prima ora e i successivi più lentamente.

La fase iniziale dell’ipotermia è dovuta agli effetti dei farmaci anestetici, che portano all’attivazione della vasodilatazione periferica, con una ridistribuzione del calore dagli organi interni alla cute. 
In seguito all’induzione dell’anestesia un ulteriore calo della temperatura corporea è dovuto al ridotto metabolismo, all’assenza dei movimenti muscolari, alla minore attività dei muscoli respiratori, e alla dispersione del calore per irraggiamento e convezione attraverso la pelle e il sito chirurgico (Matsukawa et al., 1995).

Alcuni studi (England et al., 1996; Beaufort et al., 1995; Heier et al., 1991; Coldwell et al., 2000) hanno evidenziato che l’ipotermia prolunga l’azione della maggioranza dei farmaci anestetici, probabilmente per il ridotto metabolismo epatico e renale.

È stato visto che nei soggetti anziani con patologie cardiache, l’ipotermia comporta un rischio tre volte superiore di andare incontro ad eventi coronarici, questo perché terminata l’anestesia vi è in circolo una maggiore quantità di noradrenalina che associata allo sblocco del centro della termoregolazione porta a vasocostrizione e picchi ipertensivi, con il rischio di sviluppare una tachiaritmia ventricolare (Frank et al., 1995).


L’ipotermia, attraverso la vasocostrizione, l’alterata funzionalità piastrinica  e la compromissione del sistema immunitario, porta ad un rischio aumentato di infezione del sito chirurgico (Kurz et al., 1996).

Quindi, ricapitolando, da almeno vent'anni si è a conoscenza degli effetti negativi dell'ipotermia accidentale perioperatoria, e allora che si fa?

Riscaldiamo il paziente!
Ci sono diverse strategie utilizzabili, dall'infusione di liquidi endovena a temperatura controllata, all'utilizzo di mezzi per il riscaldamento attivo: termocoperta, warm touch, materassino ad acqua...
... a voi la scelta!

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