martedì 23 agosto 2016

Il sonno dei giusti

Quante volte vi è capitato che i pazienti vi dicessero "Scusi non riesco a dormire, mi da le goccine?"... tra l'altro la maggior parte delle volte alla richiesta "Ma a casa prende qualcosa per dormire?" la risposta è "No, no! Ma in ospedale proprio non riesco a dormire!"...

La quantità e qualità del sonno del paziente ospedalizzato è stato un tema trattato da diversi studi, dai quali si evince la percezione di una scarsa qualità del sonno in ospedale.

Le cause maggiormente citate dai pazienti, in ordine percentuale decrescente (Dobing et al., 2016) sono:
- la presenza di rumore eccessivo (ad opera di altri pazienti, operatori sanitari, macchinari ospedalieri);
- le interruzioni legate alla somministrazione di farmaci o alla misurazione dei parametri vitali;
- i letti scomodi;
- l'illuminazione eccessiva;
- l'ambiente non familiare;
- il dolore;
- l'ansia legata all'ospedalizzazione o allo stato di salute.

Questo ha spinto l'American Accademy of Nursing a inserire tra le quindici raccomandazioni del Choosing Wisely quella di "Non svegliare il paziente per le cure di routine, a meno che le condizioni cliniche non lo ritengano necessario".

Questa raccomandazione trova le sue fondamenta nel fatto che la privazione del sonno influisce negativamente sulla respirazione, sulla circolazione, sulle difese immunitarie, sui tempi di guarigione della ferita chirurgica, sulla funzione ormonale e sul metabolismo del soggetto. Porta  inoltre ad un aumento dell'insulinoresistenza, della percezione del dolore e viene infine collegata ad un aumento dei deficit della memoria, a delirio, depressione e disturbi della sfera affettiva (Pilkington S. 2013; Kamdar et al., 2012).

Si è ipotizzato inoltre che i pazienti che fanno esperienza di insonnia in ospedale presentino un maggior rischio di insonnia cronica per i mesi e gli anni a seguire (Griffiths, 2005)...

Di contro, i farmaci utilizzati in regime ospedaliero per favorire il riposo possono provocare un aumento del rischio di cadute, soprattutto nella popolazione anziana.

In effetti alcuni accorgimenti nella nostra organizzazione del lavoro potrebbero portare ad un maggior comfort del paziente durante la degenza ospedaliera...

Fermo restando che in un reparto chirurgico sia necessaria la monitorizzazione dei parametri vitali nelle prime 24 ore dall'intervento al fine di riconoscere precocemente eventuali complicanze legate alla chirurgia, spesso però si "disturbano" i pazienti anche quando non è necessario... ad esempio con il giro dei parametri a tappeto per tutto il reparto alle sei del mattino! O con i prelievi di routine sempre alle sei! Oppure con la terapia antidolorifica ad orari prescritta alle due o alle quattro di notte (eh si.. posso assicurarvi che in alcuni posti esistono anche questi orari di prescrizione!).

Ma siamo sicuri che almeno su questo non possiamo intervenire cambiando le nostre abitudini?



martedì 16 agosto 2016

Somministrazione dell'EBPM: il giusto tempo

Ogni infermiere ospedaliero si ritrova quotidianamente a somministrare eparina a basso peso molecolare... le cosidette "punturine per prevenire la trombosi venosa"... ma siamo sicuri di somministrarle nel modo corretto?

Fermo restando che anche sulla modalità di somministrazione (sottocutanea) c'è a mio parere ancora molta confusione (sito, inclinazione dell'ago a seconda della tipologia di ago utilizzato), oggi vorrei soffermarmi su un altro aspetto: in quanto tempo va eseguita l'iniezione? 

Quando ero studentessa nel 2004 qualcuno mi aveva detto "lentamente"... ma rispetto ad un volume così piccolo di farmaco (in media 0,4ml), cosa vuol dire lentamente?

Un paio di anni fa, per la mia tesi in Scienze Cognitive e Processi Decisionali, durante una ricerca bibliografica mal condotta (ero a caccia di studi riguardanti il rischio di misidentificazione), mi sono imbattuta in uno studio Australiano (ahimè ora che volevo trovarlo invece niente!!... devo sicuramente lavorare sulle mie qualità di ricercatrice di fonti!!!) il quale affermava che circa il 50% dei professionisti osservati durante la somministrazione di EBPM eseguiva l'iniezione in meno di dieci secondi (considerato il tempo minimo di somministrazione)... da quell'errore casuale commesso, ho iniziato anch'io a "rallentare"... per poi scoprire che già quella viene considerata la "tecnica veloce"!

Gli effetti indesiderati dell'EBPM più comuni sono: dolore durante la procedura, formazione di ecchimosi e di ematomi.

Diversi studi hanno ipotizzato una correlazione tra la velocità di somministrazione e tali effetti, tanto da incuriosire la Cochrane che nel 2014 ha condotto una revisione sistematica che però alla fine è riuscita a reclutare un solo studio, concludendo che sarebbe consigliabile la somministrazione lenta... motivo per cui ancora ci si lavora su...

Sembrerebbe che somministrare il farmaco in trenta secondi porti ad una riduzione significativa della formazione di ecchimosi, e che tamponare per almeno dieci secondi dopo l'iniezione, anche se non influisce sulla frequenza delle ecchimosi, possa ridurne le dimensioni (Uzun et al., 2016).

Riflettendoci su, in effetti, essendo il calibro della siringa molto piccolo, iniettare un farmaco velocemente porta ad una pressione veramente elevata sui tessuti (una famosa pubblicità direbbe: "è questione di fisica!")... se oltre a questo trauma si considerasse la tipologia di farmaco inoculato si potrebbe spiegare perché spesso si formano ecchimosi o ematomi...

Al rientro dalle ferie quindi mi impegnerò a somministrare l'EBPM nei tempi suggeriti da Uzun...certo, sarò un po' più lenta nel giro della terapia... vorrà dire che partirò un po' prima!


mercoledì 10 agosto 2016

Il movimento "Choosing Wisely"

Durante l'ultimo convegno AIURO a cui ho partecipato (maggio 2016) mi sono imbattuta per la prima volta in "Choosing Wisely"...

... per chi, come me prima di allora, non lo conoscesse, ne faccio una breve descrizione.

L'iniziativa nasce negli USA, a seguito del dibattito suscitato dalla riforma sanitaria di Obama che richiedeva una revisione e ridistribuzione della spesa sanitaria, al fine di estendere la copertura sanitaria alla maggior parte dei cittadini statunitensi.

Visto che i medici statunitensi si sono dichiarati favorevoli alla riforma, a patto che non fossero intaccati i loro proventi, sono state analizzate le possibili fonti di spreco e si è visto come il 30% delle prescrizioni mediche fossero inutili.

Nel 2010 le società scientifiche sono state invitate a stilare una lista di cinque pratiche inutili, o meglio utilizzate in maniera inapproriata (inutilità evidenziata dalla best practice) ed ancora in uso.

Nell'aprile 2012, l'ABIM Foundation lancia il movimento "Choosing Wisely" con l'intento di sfatare il falso mito che per essere seguiti nel modo più appropriato, rispetto ad una problematica di salute, sia necessario essere rivoltati come un calzino! 


Contemporaneamente in Italia, nel 2010, la Società Italiana per la Qualità dell'Assistenza Sanitaria (SIQuAS) approvava la fondazione di un movimento che riproponesse un sistema sanitario di qualità sostenibile, che nacque nel dicembre 2010 e venne chiamato Slow Medicine.


In seguito Choosing Wisely è divenuto un movimento di portata internazionale e Slow Medicine ha abbracciato il progetto Choosing Wisely Italy- Fare di più non significa fare meglio.


Al progetto hanno aderito anche l'IPASVI e le associazioni di infermieri AICO, AIOSS, AIUC, AIURO e ANIMO, che nel 2014 hanno pubblicato le cinque pratiche infermieristiche a rischio di inappropriatezza.

Essendo una curiosa per natura, ho letto anche le raccomandazioni delle altre specialità... le ho trovate estremamente interessanti...non mi resta che augurarvi buona navigazione!




martedì 9 agosto 2016

La ripresa dell'alimentazione nel post operatorio

Nella mia realtà lavorativa uno dei temi su cui c'è più confusione, nella gestione del paziente sottoposto ad intervento chirurgico, è la ripresa dell'alimentazione per via orale.

Fino a qualche anno fa, se sottoposti ad anestesia generale, i nostri pazienti osservavano il digiuno il giorno dell'intervento, si alimentavano con una dieta liquida in prima giornata, pastina e frutta cotta in seconda, dieta leggera in terza e riprendevano una dieta libera dalla quarta giornata post operatoria... sempre se non avevano il SNG... altrimenti i tempi di ripresa dell'alimentazione si dilatavano fino alla ripresa della canalizzazione!

Ma vediamo cosa avviene nel post operatorio e perché è importante la ripresa dell'alimentazione precoce.

Lo stress chirurgico a cui il paziente viene sottoposto a causa dell'intervento porta ad un rilascio di glucagone, catecolamine, cortisolo e mediatori infiammatori, con conseguente aumento della glicemia, insulino resistenza e bilancio azotato negativo; in tali condizioni si può andare incontro a processi catabolici con depauperamento del patrimonio muscolare, stanchezza, aumentata intolleranza al movimento, alterazione dei processi di guarigione della ferita chirurgica, deficit immunitario con maggiore probabilità di infezioni.

Se alla sindrome da stress chirurgico si associa uno stato di malnutrizione precedente all'intervento (condizione frequente nei pazienti tumorali), le complicanze a cui il paziente potrà andare incontro possono risultare addirittura fatali! 

Sin dal 1936 Studley dimostrò che una perdita di peso del 20% era correlabile ad un aumento significativo del tasso di mortalità nei pazienti sottoposti a chirurgia per ulcera duodenale.

Uno studio condotto da Jabbar et al. nel 2003, correla inoltre il digiuno post operatorio ad un significativo aumento degli episodi di sepsi.

L'ipotesi che la prevenzione o il trattamento della malnutrizione migliori l'esito clinico di un paziente chirurgico e che in particolare riduca le complicanze infettive, è ormai un'evidenza che trova nella fisiopatologia della sindrome da stress chirurgico il suo razionale.

Si è visto inoltre che la ripresa precoce dell'alimentazione per via orale supporta l'integrità dei villi intestinali, la secrezione di IgA e dei sali biliari (contrastando la trasmigrazione batterica), stimola la produzione di muco e favorisce la contrattilità dell'intestino.

Infine è lecito sostenere che vi sia una ripresa della funzionalità dell'intestino a sei ore dall'anestesia anche in assenza di peristalsi intestinale.

Si consideri che per la chirurgia colica (Varadhan et al., 2010), dove c'è quindi un interessamento dell'intestino nella tecnica chirurgica, la ripresa dell'alimentazione con una dieta leggera dalla sera dell'intervento, coadiuvata da un apporto calorico supplementare (drink energetici somministrati 2-3 volte al giorno) fino alla ripresa della dieta libera è fortemente raccomandata (grado di evidenza A).

I protocolli ERAS prevedono di norma una ripresa dell'idratazione per via orale alla comparsa dello stimolo della deglutizione (in assenza di PONV), un primo carico glucidico a due ore dal risveglio, da ripetere a quattro ore e una cena leggera la sera dell'intervento.

Concludendo... previa valutazione della PONV... per cortesia facciamo mangiare i pazienti!





lunedì 8 agosto 2016

Come stimolare la motilità intestinale?

L'ileo post-operatorio è un problema che nella chirurgia colica si presenta circa nel 30% dei casi, ma è una complicanza da non sottovalutare anche nelle altre chirurgie!

Luckey et al., nel 2003 stabilirono la multifattorialità della causa dell'ileo post-operatorio: l'utilizzo di oppioidi, il sovraccarico di liquidi nell'intra e post-operatorio, la manipolazione con conseguente infiammazione dell'intestino durante la tecnica chirurgica.

Ne consegue che anche la prevenzione si baserà su un approccio multimodale.

Una revisione sistematica della Cochrane del 2016 (Guay, Nishimori, Kopp) stabilisce che l'utilizzo dell'analgesia tramite cateterino peridurale di anestetico locale nella chirurgia addominale, non solo migliora il controllo del dolore post operatorio, ma favorisce anche la ripresa della funzionalità intestinale, con la comparsa di flatus, in alcuni casi, il giorno stesso dell'intervento.

Come già detto nel post "Troppo pieno o troppo vuoto?" un eccesso di fluidi intraoperatori porta ad un accumulo di liquidi nel terzo spazio, con imbibizione delle pareti intestinali e traslocazione batterica.

Una revisione sistematica del 2015 (Watt et al.) sostiene che la chirurgia laparoscopica riduce lo stress chirurgico: i valori di PCR (proteina c reattiva) e di IL-6 (interleuchina-6) nel post-operatorio sono minori nei soggetti sottoposti a laparoscopia rispetto ai valori riscontrati nei soggetti sottoposti a laparotomia.

Una revisione del 2013 (Keller, Stein), che mette a confronto l'utilità dell'alvimopan (farmaco utilizzato negli Stati Uniti per facilitare la ripresa della motilità intestinale) e quella del chewingum, conclude che la gomma da masticare, assunta sin da prima dell'intervento ed in seguito nel postoperatorio, promuove il fisiologico svuotamento gastrico e la motilità gastrointestinale e, considerando il rapporto costo/beneficio, ne raccomanda l'uso!

Sin dal 2003, Miedema e Johnson affermano che l'uso di ossido di magnesio (1g due volte al giorno dalla sera dell'intervento fino alla dimissione) per via orale agisce come lassativo osmotico, favorendo la motilità intestinale.

Infine nel post precedente, "Quando mobilizzare il paziente dopo l'intervento chirurgico?", abbiamo annoverato tra i benefici della mobilizzazione precoce anche la ripresa della motilità intestinale...

Concludendo: la prevenzione dell'ileo paralitico si ottiene mediante un approccio multimodale che passa dalla gestione anestesiologica nell'intra e nel post operatorio, alla tecnica chirurgica, alla gestione infermieristica del paziente nel post operatorio... e allora... buon lavoro a tutti!


domenica 7 agosto 2016

Quando mobilizzare il paziente dopo l'intervento chirurgico?

Un altro aspetto di competenza infermieristica del protocollo ERAS è la mobilizzazione precoce del paziente nell'immediato post operatorio. 

Ma con l'intolleranza ortostatica come la mettiamo?

Non starò ad enfatizzare le disastrose conseguenze che comporta l'immobilizzazione prolungata, chi di voi non ha mai sentito dire "il letto alletta"

Kehlet nel 2002 sottolinea che l’allettamento non solo favorisce l’insulino-resistenza e il catabolismo muscolare con conseguente diminuzione della forza, ma influisce negativamente anche sulla funzione polmonare e sull’ossigenazione dei tessuti, oltre ad aumentare il rischio di tromboembolismo. 

La prima mobilizzazione il giorno stesso dell'intervento ha come obiettivo proprio quello di evitare le problematiche legate all'immobilizzazione, oltre il favorire la canalizzazione e l'autonomia del paziente nel più breve tempo possibile. Il protocollo prevede che il paziente rimanga fuori dal letto per almeno due ore il giorno dell'intervento, che diventano sei in prima giornata.

D'altro canto in sanità si parla fino alla nausea di prevenzione del rischio di cadute, di patient safety... dopo aver informato il paziente sui rischi legati all'anestesia come possiamo pensare di tirarlo giù dal letto così presto?

Sull'intolleranza ortostatica ci sono studi contraddittori, in alcuni si evidenzia un aumento del rischio mobilizzando il paziente a 6 ore dall'intervento rispetto alla prima mobilizzazione effettuata a 24 ore dall'intervento! (Jans et al., 2011; Bundgaard-Nielsen et al., 2009).

Di contro, Morris et al., nel 2010, hanno pubblicato una linea guida di pratica clinica riguardante la mobilizzazione precoce nel paziente ortopedico sottoposto ad intervento chirurgico, dove affermano che la mobilizzazione a 6 ore dall'intervento non comporta un aumento delle conseguenze avverse per il paziente rispetto alla mobilizzazione a 16,8 ore praticata in precedenza.

Personalmente penso che, come sempre nella pratica infermieristica, è di fondamentale importanza la valutazione del paziente, la sua anamnesi remota e prossima, l'individuazione dell'eventuale rischio, la valutazione dei parametri vitali, la compliance del paziente alla manovra (che risulta maggiore se istruito precedentemente sui benefici che la mobilizzazione precoce comporta), insomma la personalizzazione delle cure nonostante l'utilizzo di protocolli standardizzati.

Per ciò che concerne la mobilizzazione precoce presumo invece che la problematica sia altra...
... nella mia realtà lavorativa durante il turno pomeridiano vi è un minor numero di operatori sanitari, oberati di lavoro, e spesso non si hanno le risorse per poter mobilizzare precocemente i pazienti in sicurezza... 
...ma questa è un'altra storia e mi ero ripromessa di non permettere alla frustrazione di contaminare la voglia di cambiamento e di crescita!


sabato 6 agosto 2016

Post Operative Nausea and Vomiting (PONV): come prevenirla?

Sin dal 1840, anno in cui è stata introdotta l'anestesia generale, si riconobbero la nausea e il vomito post operatori come effetti collaterali comuni legati alla pratica anestesiologica (McGill, 1873).

Nel 2010 Franck et al., stabilirono che circa il 30% dei pazienti sottoposti ad anestesia presentano PONV, questa percentuale arriva all'80% in quei soggetti, non sottoposti a profilassi, che presentano fattori di rischio quali: giovane età, sesso femminile, non fumatori, con precedente storia di cinetosi (Apfel et al., 1999).

Nonostante la PONV comporti raramente complicanze gravi per la salute del paziente, l'impatto sulla qualità di vita e sul costo delle cure sanitarie sono tali da attirare l'attenzione di diversi studiosi.

I pazienti infatti riferiscono che la nausea e il vomito post operatori sono tra i sintomi più angoscianti e che sarebbero disposti a pagare piuttosto che soffrirne (Gan et al., 2001; Kerger et al., 2007; Wagner et al., 2007).
Infine non è da trascurare il fatto che la sintomatologia, se protratta nel tempo, può portare ad uno stato di disidratazione, ad alterazioni idroelettrolitiche e ad un ritardo nella ripresa dell’alimentazione. 


La ricerca clinica dimostra che la PONV è causata soprattuto dall'utilizzo dell'anestesia inalatoria e di analgesici oppiacei (Apfel et al., 2012; Binning et al., 2011).
Canzone et al. in uno studio del 1998 suggerivano l'utilizzo del propofol e.v. al posto degli anestetici inalatori, poiché sembrava avere proprietà antiemetiche.
Sembra inoltre che ci sia un rischio aumentato di PONV negli interventi in cui vi è maggiore trauma tissutale e infiammazione.

Detto ciò, come prevenire la nausea e il vomito post operatori?

Mentre Goll nel 2001 osservò come la somministrazione di ossigeno all'80% per due ore sia più efficace dell'ondasetron nel ridurre la PONV, Apfel et al., nel 2004 stabilirono che, sebbene i singoli farmaci antiemetici abbiano efficacia simile nel contrastare il sintomo, la combinazione di più sostanze porta ad un effetto additivo, riducendo sensibilmente il rischio relativo (del 25% per ogni farmaco combinato).

Concludendo, è consigliabile un approccio multimodale al problema, che comprenda una valutazione del rischio del singolo paziente e la somministrazione di farmaci antiemetici combinati come profilassi. 
E' raccomandato l'utilizzo dell'anestesia endovenosa con farmaci a breve emivita al posto dell'anestesia inalatoria, la somministrazione di ossigeno ad alti flussi nell'immediato post operatorio e una terapia del dolore che non comprenda farmaci oppiacei o favorenti emesi.

Ed ora un ultimo dubbio...

...prima di informarmi su questo argomento, nel somministrare le terapie ai pazienti, in prima giornata post operatoria vedevo spesso la prescrizione di antiemetici anche in pazienti che non avevano assolutamente manifestato il sintomo e mi chiedevo se non fosse un farmaco inutile...

... onestamente ancora oggi non so darmi una risposta, qualcuno di voi può chiarirmi le idee in proposito?

martedì 2 agosto 2016

"Il più valido sistema per raffreddare un uomo è sottoporlo ad anestesia" (R.W. Pickering)

Dopo qualche giorno di pausa rieccoci...
Il titolo del post di oggi è una citazione che mi ha colpito al convegno AIURO del 2014... quindi ringrazio la relatrice del congresso, Paola Striglia, per avermela fatta conoscere...

Quante volte in reparto al rientro dalla sala operatoria il paziente trema e ha freddo? 
Non ci sono coperte sufficienti a scaldarlo.

Per noi addetti ai lavori è una cosa abbastanza comune... certo... la sala operatoria è fredda... i brividi passeranno... ma spesso si trascura tutto ciò che è collegato a questo fenomeno.

L’ipotermia perioperatoria accidentale avviene in una grande percentuale di interventi e dipende da diversi fattori, quali: l'abbigliamento o meglio la sua mancanza nell'intraoperatorio, la temperatura ambientale della sala operatoria, i processi di vasodilatazione a seguito della preanestesia, l'assenza dei movimenti muscolari e il rallentamento del metabolismo dovuti all'anestesia, l'utilizzo di antisettici per la disinfezione della cute, l'esposizione di ampie cavità corporee per la durata dell'intervento, l'irrigazione con liquidi freddi, l'infusione di liquidi freddi (Rigon e Thiene, 2003).

In condizioni normali la temperatura corporea si attesta tra i 36,5°C e i 37°C, ma in seguito ad anestesia è molto comune che questa possa abbassarsi di almeno 2°C, fino ad una perdita di 6°C.

Mediamente durante l’intervento il paziente va incontro ad una diminuzione della temperatura di circa 3°C (Vaughan et al., 1981), di cui 1-1,5°C nella prima ora e i successivi più lentamente.

La fase iniziale dell’ipotermia è dovuta agli effetti dei farmaci anestetici, che portano all’attivazione della vasodilatazione periferica, con una ridistribuzione del calore dagli organi interni alla cute. 
In seguito all’induzione dell’anestesia un ulteriore calo della temperatura corporea è dovuto al ridotto metabolismo, all’assenza dei movimenti muscolari, alla minore attività dei muscoli respiratori, e alla dispersione del calore per irraggiamento e convezione attraverso la pelle e il sito chirurgico (Matsukawa et al., 1995).

Alcuni studi (England et al., 1996; Beaufort et al., 1995; Heier et al., 1991; Coldwell et al., 2000) hanno evidenziato che l’ipotermia prolunga l’azione della maggioranza dei farmaci anestetici, probabilmente per il ridotto metabolismo epatico e renale.

È stato visto che nei soggetti anziani con patologie cardiache, l’ipotermia comporta un rischio tre volte superiore di andare incontro ad eventi coronarici, questo perché terminata l’anestesia vi è in circolo una maggiore quantità di noradrenalina che associata allo sblocco del centro della termoregolazione porta a vasocostrizione e picchi ipertensivi, con il rischio di sviluppare una tachiaritmia ventricolare (Frank et al., 1995).


L’ipotermia, attraverso la vasocostrizione, l’alterata funzionalità piastrinica  e la compromissione del sistema immunitario, porta ad un rischio aumentato di infezione del sito chirurgico (Kurz et al., 1996).

Quindi, ricapitolando, da almeno vent'anni si è a conoscenza degli effetti negativi dell'ipotermia accidentale perioperatoria, e allora che si fa?

Riscaldiamo il paziente!
Ci sono diverse strategie utilizzabili, dall'infusione di liquidi endovena a temperatura controllata, all'utilizzo di mezzi per il riscaldamento attivo: termocoperta, warm touch, materassino ad acqua...
... a voi la scelta!