venerdì 23 dicembre 2016

L'infermiere e la ricerca... quali possibilità di formazione post base?

Qualche anno fa mi era stato proposto di partecipare ad un progetto di ricerca...
... inutile dirvi che la delusione è stata enorme quando, nel chiedere maggiori informazioni sul mio ruolo all'interno dello studio, ho capito che mi si chiedeva semplicemente di eseguire il mio lavoro in un ambulatorio cardiologico... eseguire ECG, prelievi, rilevare parametri vitali... insomma niente di diverso rispetto a quello che già facevo... la differenza era che le mie prestazioni erano rivolte a soggetti facenti parte di uno studio clinico...
 
In quell'occasione ho risposto: "no grazie!"
 
Nella mia visione romantica per un infermiere fare ricerca voleva dire fare "ricerca infermieristica"!
 
Qualche settimana fa nella mia posta aziendale è arrivata una mail interessante...
...L'Università Vita Salute del San Raffaele ha attivato la prima edizione del Master Universitario di primo livello per Infermiere\Ostetrica di Ricerca (Clinical Research Nurse\Midwife)... incuriosita sono andata ad ascoltare la presentazione della proposta formativa...
 
La novità del Master rispetto a quelli già presenti sul mercato è che l'obiettivo è di formare figure in grado di assistere con la massima competenza i soggetti inseriti in trials clinici di alto livello... Da cosa nasce l'esigenza di istituire un corso del genere?!
 
Sembra che le aziende farmaceutiche (maggiori sponsor della ricerca clinica) riconoscano un valore aggiunto alla qualità dello studio condotto se all'interno del team ci sia la figura del Clinical Research Nurse!!

Riflettendoci su, con qualche anno in più e qualche esperienza fallimentare in cui ho provato nella mia realtà lavorativa a condurre piccole ricerche "fai da te" concluse con analisi di dati piene di bias, ad oggi penso che questa proposta di formazione post base non sia affatto male... se qualcuno di voi fosse interessato alla cosa vi rimando al sito dell'UNISR.
 
Per chi invece pensa che non vuole fare l'infermiere di ricerca ma l'infermiere ricercatore... beh si sa il percorso è un altro  e più tortuoso... ci tocca la magistrale e il dottorato...

giovedì 29 settembre 2016

Divertiamoci con l'EGA



INTRODUZIONE
L’emogasanalisi (EGA) rappresenta uno degli esami fondamentali, se non quello “principe” in urgenza, poiché ci garantisce un’ottimale quadro di lettura sulla ventilazione alveolare, gli scambi gassosi, il pH ematico e l’equilibrio acido-base (EAB). In particolare l’EAB costituisce una “spia” di importanti funzioni come lo stato di idratazione (pazienti disidratati solitamente presentano un’alcalosi metabolica) e la circolazione (molte volte i pazienti in stato di shock presentano acidosi metabolica).

L’esame consiste in un prelievo arterioso a livello dell’arteria radiale, brachiale o femorale; può essere anche eco-guidato. Il sangue intero è prelevato tramite una siringa eparinata all’interno della quale non devono esservi bolle d’aria al fine di evitare un’alterazione dei valori biochimici gassosi del campione prelevato.


Si tratta di un esame estremamente frequente in ambiente ospedaliero che però cela dietro di sé un mistero per molti infermieri: come interpretare in modo corretto i dati fornitici dal “Dio” emogasanalizzatore? Questo articolo cercherà di fornire in maniera concisa e sistematica le basi per una corretta interpretazione di un referto emogas.

Prima però di adentarci nel vivo del discorso occorre fare un ripasso sulla fisiologia.

domenica 25 settembre 2016

Frequenza Respiratoria: un parametro incompreso




Tipicamente, durante la valutazione dei pazienti il parametro più sottovalutato, molto probabilmente perché non compreso, è la Frequenza Respiratoria (FR); un parametro vitale “snobbato” che invece rappresenta un’importanza cruciale in alcune situazioni cliniche.
Inquadriamo meglio quella che è la FR e successivamente i problemi che un’alterata FR può dare.


La Frequenza Respiratoria indica semplicemente il numero di atti ventilatori compiuti in un minuto dalla persona. Un atto ventilatorio (più comunemente atto respiratorio) è composto da una fase inspiratoria che è generata dall’azione dei muscoli respiratori (e talune volte dai respiratori accessori) che garantiscono l’espansione della gabbia toracica e una espiratoria, normalmente passiva, garantita dalla forza elastica accumulata durante l’inspirazione che riporta la cassa toracica alla posizione iniziale.
La frequenza respiratoria degli adulti e di 7-20 atti respiratori/minuto. I bambini respirano più velocemente degli adulti: tanto minore e l’età, tanto maggiore e la frequenza respiratoria (i valori più alti si riscontrano nei neonati). In seguito ad uno sforzo fisico, aumenta la frequenza respiratoria. Per patologie polmonari od alterazioni del respiro non di pertinenza polmonare, la frequenza respiratoria può essere aumentata o ridotta. L’aumento viene definito tachipnea, la riduzione bradipnea. Con la sola frequenza respiratoria non si può definire la qualità della ventilazione. Altri termini degni di nota sono: Ipoventilazione che indica un respiro superficiale e talune volte irregolare; Iperventilazione aumento della profondità degli atti respiratori.
Sono stati identificati inoltre alcuni tipi di respiro patologico che sono identificabili appunto dalla rilevazione corretta della FR.

domenica 11 settembre 2016

La somministrazione di EBPM: cosa raccomanda la letteratura?

Vi è mai capitato di confrontarvi con i vostri colleghi su come si esegue una iniezione sottocutanea?
A me tante volte... e nel corso degli anni ho notato come ci sia un'altissima variabilità riguardo a tanti passaggi... Incuriosita dalla cosa, smanettando su internet, ho trovato un bel po' di materiale... 

Una revisione sistematica sulla tecnica di somministrazione dell'EBPM (Franco de Campos et al, 2013) stabilisce e motiva alcuni criteri di buona pratica assistenziale come:

- Il calibro dell'ago utilizzato dovrebbe essere di piccole dimensioni (25-27 G);

- La bolla d'aria presente nella siringa pre-riempita è volta a promuovere l'emostasi nel sito di iniezione (Gomez et al, 2005);

- La regione addominale viene considerata la più idonea per la somministrazione delle EBPM, poichè contiene uno strato di tessuto sottocutaneo spesso, minimizzando il rischio di stravaso del farmaco. Si raccomanda di evitare la zona ombelicale per circa 5cm (al fine di evitare la vena ombelicale) e di evitare di eseguire le iniezioni nelle sedi di cicatrici o lividi (Kuzu, Ucar, 2001);

- Il sollevamento della plica ha lo scopo di elevare il tessuto sottocutaneo, aumentando la distanza dal muscolo sottostante;

- L'inserzione dell'ago con un angolo di 90° viene considerata la più appropriata per assicurare l'iniezione del farmaco nel sottocute, un'inclinazione diversa aumenta il rischio di somministrazione intradermica;

- Per quanto riguarda il tempo di somministrazione, come già detto nel post Somministrazione dell'EBPM: il giusto tempo, si consiglia l'iniezione lenta (30 secondi) al fine di ridurre il dolore e l'insorgenza di ecchimosi ed ematomi.

Riassumendo quindi la tecnica corretta di iniezione sottocutanea di EBPM prevede di:

- scegliere preferibilmente la regione addominale come sito di iniezione, in alternativa l'esterno della coscia e come ultima sede disponibile la parte latero-posteriore del braccio;
- evitare di scegliere come sede di iniezione zone dolenti, che presentano lividi o ferite chirurgiche;
- utilizzare aghi lunghi non più di 8mm e di piccolo calibro (25-27 G);
- Non eliminare la bolla d'aria presente all'interno della siringa;
- Sollevare delicatamente una plica cutanea tra pollice ed indice;
- Inserire l'ago nella cute con un angolo di 90°;
- Non eseguire la manovra di Lesser;
- Mantenere la plica cutanea per tutto il tempo di somministrazione del farmaco;
- Iniettare il farmaco in 30 secondi;
- Applicare una lieve pressione sul sito di iniezione dopo aver estratto l'ago (Tamponare senza strofinare).

Uno studio osservazionale condotto in Italia (Ferri et al, 2012) su 36 infermieri ha evidenziato come in realtà vi sia elevata variabilità nella tecnica di iniezione sottocutanea di EBPM... certo il campione è troppo piccolo per poter generalizzare sull'intera popolazione... ma la mia sensazione (rispetto alla mia esperienza) mi porta a pensare che la realtà non sia poi così diversa...
  

martedì 23 agosto 2016

Il sonno dei giusti

Quante volte vi è capitato che i pazienti vi dicessero "Scusi non riesco a dormire, mi da le goccine?"... tra l'altro la maggior parte delle volte alla richiesta "Ma a casa prende qualcosa per dormire?" la risposta è "No, no! Ma in ospedale proprio non riesco a dormire!"...

La quantità e qualità del sonno del paziente ospedalizzato è stato un tema trattato da diversi studi, dai quali si evince la percezione di una scarsa qualità del sonno in ospedale.

Le cause maggiormente citate dai pazienti, in ordine percentuale decrescente (Dobing et al., 2016) sono:
- la presenza di rumore eccessivo (ad opera di altri pazienti, operatori sanitari, macchinari ospedalieri);
- le interruzioni legate alla somministrazione di farmaci o alla misurazione dei parametri vitali;
- i letti scomodi;
- l'illuminazione eccessiva;
- l'ambiente non familiare;
- il dolore;
- l'ansia legata all'ospedalizzazione o allo stato di salute.

Questo ha spinto l'American Accademy of Nursing a inserire tra le quindici raccomandazioni del Choosing Wisely quella di "Non svegliare il paziente per le cure di routine, a meno che le condizioni cliniche non lo ritengano necessario".

Questa raccomandazione trova le sue fondamenta nel fatto che la privazione del sonno influisce negativamente sulla respirazione, sulla circolazione, sulle difese immunitarie, sui tempi di guarigione della ferita chirurgica, sulla funzione ormonale e sul metabolismo del soggetto. Porta  inoltre ad un aumento dell'insulinoresistenza, della percezione del dolore e viene infine collegata ad un aumento dei deficit della memoria, a delirio, depressione e disturbi della sfera affettiva (Pilkington S. 2013; Kamdar et al., 2012).

Si è ipotizzato inoltre che i pazienti che fanno esperienza di insonnia in ospedale presentino un maggior rischio di insonnia cronica per i mesi e gli anni a seguire (Griffiths, 2005)...

Di contro, i farmaci utilizzati in regime ospedaliero per favorire il riposo possono provocare un aumento del rischio di cadute, soprattutto nella popolazione anziana.

In effetti alcuni accorgimenti nella nostra organizzazione del lavoro potrebbero portare ad un maggior comfort del paziente durante la degenza ospedaliera...

Fermo restando che in un reparto chirurgico sia necessaria la monitorizzazione dei parametri vitali nelle prime 24 ore dall'intervento al fine di riconoscere precocemente eventuali complicanze legate alla chirurgia, spesso però si "disturbano" i pazienti anche quando non è necessario... ad esempio con il giro dei parametri a tappeto per tutto il reparto alle sei del mattino! O con i prelievi di routine sempre alle sei! Oppure con la terapia antidolorifica ad orari prescritta alle due o alle quattro di notte (eh si.. posso assicurarvi che in alcuni posti esistono anche questi orari di prescrizione!).

Ma siamo sicuri che almeno su questo non possiamo intervenire cambiando le nostre abitudini?



martedì 16 agosto 2016

Somministrazione dell'EBPM: il giusto tempo

Ogni infermiere ospedaliero si ritrova quotidianamente a somministrare eparina a basso peso molecolare... le cosidette "punturine per prevenire la trombosi venosa"... ma siamo sicuri di somministrarle nel modo corretto?

Fermo restando che anche sulla modalità di somministrazione (sottocutanea) c'è a mio parere ancora molta confusione (sito, inclinazione dell'ago a seconda della tipologia di ago utilizzato), oggi vorrei soffermarmi su un altro aspetto: in quanto tempo va eseguita l'iniezione? 

Quando ero studentessa nel 2004 qualcuno mi aveva detto "lentamente"... ma rispetto ad un volume così piccolo di farmaco (in media 0,4ml), cosa vuol dire lentamente?

Un paio di anni fa, per la mia tesi in Scienze Cognitive e Processi Decisionali, durante una ricerca bibliografica mal condotta (ero a caccia di studi riguardanti il rischio di misidentificazione), mi sono imbattuta in uno studio Australiano (ahimè ora che volevo trovarlo invece niente!!... devo sicuramente lavorare sulle mie qualità di ricercatrice di fonti!!!) il quale affermava che circa il 50% dei professionisti osservati durante la somministrazione di EBPM eseguiva l'iniezione in meno di dieci secondi (considerato il tempo minimo di somministrazione)... da quell'errore casuale commesso, ho iniziato anch'io a "rallentare"... per poi scoprire che già quella viene considerata la "tecnica veloce"!

Gli effetti indesiderati dell'EBPM più comuni sono: dolore durante la procedura, formazione di ecchimosi e di ematomi.

Diversi studi hanno ipotizzato una correlazione tra la velocità di somministrazione e tali effetti, tanto da incuriosire la Cochrane che nel 2014 ha condotto una revisione sistematica che però alla fine è riuscita a reclutare un solo studio, concludendo che sarebbe consigliabile la somministrazione lenta... motivo per cui ancora ci si lavora su...

Sembrerebbe che somministrare il farmaco in trenta secondi porti ad una riduzione significativa della formazione di ecchimosi, e che tamponare per almeno dieci secondi dopo l'iniezione, anche se non influisce sulla frequenza delle ecchimosi, possa ridurne le dimensioni (Uzun et al., 2016).

Riflettendoci su, in effetti, essendo il calibro della siringa molto piccolo, iniettare un farmaco velocemente porta ad una pressione veramente elevata sui tessuti (una famosa pubblicità direbbe: "è questione di fisica!")... se oltre a questo trauma si considerasse la tipologia di farmaco inoculato si potrebbe spiegare perché spesso si formano ecchimosi o ematomi...

Al rientro dalle ferie quindi mi impegnerò a somministrare l'EBPM nei tempi suggeriti da Uzun...certo, sarò un po' più lenta nel giro della terapia... vorrà dire che partirò un po' prima!


mercoledì 10 agosto 2016

Il movimento "Choosing Wisely"

Durante l'ultimo convegno AIURO a cui ho partecipato (maggio 2016) mi sono imbattuta per la prima volta in "Choosing Wisely"...

... per chi, come me prima di allora, non lo conoscesse, ne faccio una breve descrizione.

L'iniziativa nasce negli USA, a seguito del dibattito suscitato dalla riforma sanitaria di Obama che richiedeva una revisione e ridistribuzione della spesa sanitaria, al fine di estendere la copertura sanitaria alla maggior parte dei cittadini statunitensi.

Visto che i medici statunitensi si sono dichiarati favorevoli alla riforma, a patto che non fossero intaccati i loro proventi, sono state analizzate le possibili fonti di spreco e si è visto come il 30% delle prescrizioni mediche fossero inutili.

Nel 2010 le società scientifiche sono state invitate a stilare una lista di cinque pratiche inutili, o meglio utilizzate in maniera inapproriata (inutilità evidenziata dalla best practice) ed ancora in uso.

Nell'aprile 2012, l'ABIM Foundation lancia il movimento "Choosing Wisely" con l'intento di sfatare il falso mito che per essere seguiti nel modo più appropriato, rispetto ad una problematica di salute, sia necessario essere rivoltati come un calzino! 


Contemporaneamente in Italia, nel 2010, la Società Italiana per la Qualità dell'Assistenza Sanitaria (SIQuAS) approvava la fondazione di un movimento che riproponesse un sistema sanitario di qualità sostenibile, che nacque nel dicembre 2010 e venne chiamato Slow Medicine.


In seguito Choosing Wisely è divenuto un movimento di portata internazionale e Slow Medicine ha abbracciato il progetto Choosing Wisely Italy- Fare di più non significa fare meglio.


Al progetto hanno aderito anche l'IPASVI e le associazioni di infermieri AICO, AIOSS, AIUC, AIURO e ANIMO, che nel 2014 hanno pubblicato le cinque pratiche infermieristiche a rischio di inappropriatezza.

Essendo una curiosa per natura, ho letto anche le raccomandazioni delle altre specialità... le ho trovate estremamente interessanti...non mi resta che augurarvi buona navigazione!